A 19 anni, dopo una breve periodo in Repubblica Ceca, tornai a casa, tornai nella mia nazione, nella mia città, tornai a parlare l’italiano in maniera frequente e tornai a vivere la mia famiglia.
Ovviamente, quella di lasciare la danza, è stata una decisione lunga e pensata, ma ad oggi non mi sono mai pentita della scelta fatta.
Elaborai subito che l’unica cosa che mi sarebbe mancata tornando a Napoli sarebbe stata la mia indipendenza, infatti già a 16 anni iniziai a lavorare parallelamente agli studi di danza come cameriera in un ristorantino italiano nel weekend e già lì percepii la soddisfazione di poter sentirmi autonoma.
Iniziai immediatamente a progettare, pensare e ideare un qualcosa che potesse rendermi “libera” da quelle che erano stato le imposizioni del mondo della danza classica, dove più volte mi ero resa conto di essere una mera esecutrice di una serie di passi.
Ovviamente ripresi in mano la mia prima passione la moda, che nonostante tutto, non avevo mai abbandonato, e allo stesso tempo iniziai a colmare il mio vuoto sociale frequentando gente nuova: mi accorsi che le ragazze benestanti con le quali uscivo avevano tutte borse di designer estremamente costose, quelle borse identificavano un determinato ceto sociale, mi chiesi? Perché mai una borsa deve poter etichettare una ragazza o una donna?
Ovviamente io non ne possedevo una e mai mi sarei azzardata a chiedere ai miei genitori una simile cifra solo per sentirmi parte integrante di un gruppo, tutto ciò mi portò a riflettere molto. Volevo poter essere considerata non per il logo evidente sulla mia borsa, ma per la pienezza della mia personalità, per le esperienze vissute, per le mie idee, volevo allo stesso tempo dimostrare di poter vestire in maniera cool ma con capi e accessori alla portata delle mie disponibilità economiche. Mi resi conto che non esistevano negozi che vendessero una linea di borse e accessori di tendenza, accessibili a tutti e mi immaginai l’insoddisfazione di tante ragazze e donne nella mia stessa situazione.